Sesto raduno conviviale di arrampicata – 1 settembre 2019

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Anche quest’anno i nostri amici del No Terzo Valico ci hanno garantito un inizio di settembre in allegria con la sesta edizione di “Liberi tra il mare e gli Appennini”. Anche quest’anno abbiamo deciso di organizzare il nostro raduno di … Continua a leggere

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Quinto raduno conviviale di arrampicata – 2 settembre 2018

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Uno degli eventi della 3 giorni no TAV – no terzo valico di Isoverde Liberi tra il mare e gli appennini.

Avvicinamento all’Arrampicata per grandi e piccini, Caccia al tesoro verticale e Raduno arrampicatori NO TERZO VALICO presso la Roccia Grande di Cravasco.

Dalle 10:00 in poi chiacchiere, birrette, magnesite e convivialità!

[https://www.facebook.com/events/239749440209926/]

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Campeggio in Valle Stretta – 21 e 22 luglio

Anche quest’anno ci troveremo per condividere due giorni di montagna, questa volta nella bellissima Valle Stretta, vicino a Bardonecchia.
Abbiamo scelto di dirgerci in prossimitá della rotta che da Bardonecchia, attraverso il Colle della Scala, reca a Briancon, in Francia. Centinaia di migranti in transito durante gli ultimi mesi, magari dopo aver traversato il Mediterraneo, hanno affrontato questo difficile percorso, anche in condizioni meteo pericolose e senza l’attrezzatura e l’abbigliamento adeguati, costretti a rischiare la vita in montagna a causa violenta chiusura della frontiera di Ventimiglia.
Questa valle meravigliosa offrirà esperienze alla portata di tutt*, escursioni lunghe o brevi, arrampicate in falesia o dal sapore più alpinistico. Le attività saranno alla portata di adulti e bambini.
Qui potremo camminare, arrampicare, stare insieme tra amici vecchi e nuovi, chiaccherare intorno al fuoco.

Programma:

– SABATO 21 LUGLIO: ritrovo a Genova h 7:30, partenza per la Valle Stretta. Merenda e a seguire escursioni o arrampicata fino al tardo pomeriggio. In serata si montano le tende, cena condovisa, chiacchere e allegria.

DOMENICA 22 LUGLIO: gite sociali, partenza di primo mattino, escursionismo o alpinismo. Merenda e saluti. Ritorno a Genova.

Informazioni utili:

– campeggeremo liberamente nei bellissimi prati della Valle Stretta, raggiungibili con la macchina. Le tende andranno smontate al mattino. Chi volesse dormire in rifugio a pochissima distanza può trovare i rifugi “Re Magi” e “Terzo Alpini” ( si consiglia la prenotazione)

– la cena sarà condivisa, ognuno porterà qualcosa. Il posto è raggiungibile con la macchina, quindi sarà possibile portare cibo fornelletti e bevande in quantità.

– chi avesse bisogno di un posto in macchina può scriverlo nell’evento così da poterci organizzare al meglio. È inoltre possibile raggiungere le immediate vicinanze in treno (stazione di Bardonecchia).

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i confini sono fatti per essere calpestati

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Una montagna è fatta degli sguardi che la raggiungono, dei piedi che la calpestano, delle voci che la raccontano. In più di 150 abbiamo calpestato il confine che divide in due il monte tra Ventimiglia e Mentone. L’abbiamo fatto per … Continua a leggere

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Calpestiamo il confine – 18 febbraio 2018

Calpestiamo il confine

Tra Ventimiglia e Mentone un confine divide in due una montagna. Potresti non notarlo camminando tra il paesaggio, spaziando con lo sguardo sul mare. Ma quel confine, chiuso, c’è e uccide. Più di tredici persone in un anno. Provare ad attraversarlo per qualcuno è un sogno. Più di un sogno. Un obbligo imprescindibile. Di là c’è la fine di un viaggio.

I sentieri tra Ventimiglia e Mentone sono vie semplici, bastano un paio di scarponcini da trekking e un po’ di attenzione per percorrerli. Sono posti bellissimi dove il mare tocca la montagna e si apre su vedute infinite. Qui da tempo i/le migranti provano a passare. Lo fanno spesso al buio, senza conoscere il terreno, senza le scarpe adatte. La polizia francese presidia e pattuglia, blocca gli sbocchi di queste vie. Lo fa solo con chi non ha la pelle bianca. Cerca, caccia, arresta, respinge, anche i/le minorenni. Il Sentiero della Morte dà l’illusione che Mentone sia lì ad un passo. Quasi un miraggio appena attraversata la rete che segna la frontiera. Il terreno però è infido, sbagliare non è difficile e se si cammina dritti verso la città si va incontro ad una scarpata di settanta metri.
Chiudere i confini alle persone per spalancarli alle merci genera morte, produce schiavitù, arricchisce le mafie e i trafficanti, uccide la libertà di tutte/i.

Crediamo che la montagna sia uno spazio di libertà di vita e di movimento. A cui nessuno può impedire l’accesso e dove non ha senso morire perchè si è costretti/e ad affrontarla impreparati/e. Quello che sta succedendo sui monti del confine italofrancese riguarda tutti/e e tocca un senso di umanità che chi vive la montagna sente particolarmente sulla pelle.

Per questo vi invitiamo domenica 18 febbraio a calpestare simbolicamente il confine di Ventimiglia con noi. Passare per quei monti, dove non tutti/e sono liberi/e di passare, è un gesto simbolico di solidarietà e offre l’occasione di pulire e sistemare il sentiero in modo che non possa più rappresentare un pericolo per chiunque tenti di percorrerlo.

/// Partenza da Genova alle 8 da piazza Dante (scriveteci in caso di necessità di posti auto o se ne avete da offrire).
Per chi viene da fuori appuntamento a Ventimiglia alle 10.30 nel parcheggio di via Tenda davanti alla chiesa delle Gianchette (S. Antonio) ///

Lasceremo il maggior numero di auto possibile a Ventimiglia per compattarsi e salire a Grimaldi.
Camminata da Grimaldi superiore a Castellar.
Invitiamo tutti/e a vestirsi in maniera adeguata e con calzature idonee al tipo di terreno e a portarsi il pranzo al sacco.

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Gita al bivacco Scarpeggin e rifugio ai Belli Venti.

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Le domeniche di Novembre spesso sono piovose, fredde e nebbiose. Domenica scorsa invece un bel sole ha scaldato il gruppo di c.a.z.zari che, lasciate le macchine presso il Curlo, s’incammina lentamente verso il bivacco Scarpeggin, qui si fermano e si  … Continua a leggere

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Comunicato

 

In merito alla ciclo camminata proposta dal commissario del Terzo Valico, siamo rimasti molto sorpresi nel constatare come tra i partner ci sia anche il Club Alpino Italiano sezione di Alessandria. E’ francamente piuttosto incredibile questa sponsorizzazione da parte di un ente che nella prima pagina del proprio regolamento cita:

1. Il Club alpino italiano per conseguire – ai sensi della legge 24 dicembre 1985, n. 776 – le finalità istituzionali, a favore sia dei propri soci, sia di altri, utenti tutti di un comune patrimonio culturale e sociale, in collaborazione (…)
i) opera per la conservazione della cultura alpina e per la pratica di ogni attività connessa con la frequentazione e la conoscenza della montagna; assume e promuove iniziative atte a perseguire la difesa dell’ambiente montano e in genere delle terre alte, anche al fine di salvaguardare dalla antropizzazione le zone di particolare interesse alpinistico o naturalistico. (…)

Ora: ci rendiamo perfettamente conto che i territori interessati dal Terzo Valico non siano considerati “alpinisticamente rilevanti” o con un tradizione montana\alpina di un certo livello ma, non sono forse attraversati da sentieri? Non sono presenti zone boschive, laghi,fiumi, falesie attrezzate per l’arrampicata?

D’altra parte non una parola è stata espressa dal C.A.I. sulla TAV in valle di Susa o sulle centinaia di opere che arricchiscono i pochi a discapito dei molti e devastano territori.

Non esistono luoghi neutri, ogni luogo è prodotto di storie, incontri e conflitti. Partecipare a questa ciclo camminata non è semplicemente un modo per mettere in mostra “le attrattività e le eccellenze locali enogastronomiche, storico-culturali, paesaggistiche”. Partecipare a questa camminata è prendere una posizione contro le montagne (e le colline e le pianure) a favore degli interessi e del traffico di merci.

Genova 20 Settembre 2017
Collettivo Alpino Zapatista – info.caz@insiberia.net

 

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Campeggio e gita sociale 2017 – Mongioie

Il racconto della due giorni del CAZ al Mongioie comincia con una coda, una lunga estenuante coda sulla solita A10 riviera ligure. È metà luglio e probabilmente il weekend più torrido del 2017: ficcarsi su quell’autostrada alle 10 del mattino vuol dire un po’ andarsela a cercare… ma tant’è, affrontiamo gli eventi con stoica abnegazione.

Poco alla volta il traffico si scoglie e dopo Savona possiamo lanciarci in una cavalcata priva di ostacoli fino alla valle Tanaro.  Prima dell’una siamo a Viozene: alla fine la coda non ci ha fatto perdere più di un’ora ma sono sembrate dieci. Non vediamo l’ora di allontanarci da tutto questo.

Lasciamo le macchine poco oltre la piazza della borgata e riempiamo gli zaini. Gli anziani del paese seduti fuori dal bar ci guardano incuriositi mentre ci carichiamo all’inverosimile di materiale da arrampicata, vestiti, tende e cibarie, tante cibarie: abbiamo deciso di campeggiare al rifugio Mongioie, condividendo tra tutt* il cibo di ognun* .

Così caricati affrontiamo il facile sentiero che dalla borgata di Viozene porta a Pian Rosso, dove si trova il rifugio Mongioie, a 1555 metri s.l.m. 40 minuti di passeggiata in cui le uniche difficoltà sono rappresentate dal peso importante e dal caldo africano. Arrivati al rifugio ci rilassiamo un po’: il posto è speciale. Pian Rosso si trova al limitare del bosco dove la valle si apre in uno smisurato ventaglio di pascoli, intorno, a incorniciare questo anfiteatro, una serie di bastionate rocciose vertiginose; la più imponente di queste bastionate, proprio in linea retta sopra al rifugio è il Mongioie.

La mattinata moderatamente stressante e la sudata della salita impongono ristoro: primo pasto condiviso. È subito evidente che in questi due giorni, tra tutti i significati del termine compagn*, il più pregnante sarà quello più intimamente etimologico: “chi condivide il pane”.

Al pomeriggio ci si divide tra chi resta a Pian Rosso a rilassarsi e chi vuole andare ad arrampicare. Sappiamo che intorno al rifugio ci sono molte vie tendenzialmente dure: guardando le pareti calcaree del Mongioie e dei suoi fratelli, striate di nero e a tratti talmente lisce da sembrare marmo, non stentiamo a crederlo. Andiamo al rifugio a informarci su posti per arrampicare alla nostra portata. Consultando la guida la scelta ricade sulla falesia delle piramidi: monotiri dati a 20 minuti dal rifugio: sarà… a vederla in lontananza la falesia non sembra così vicina, si intravede al limitare dei pascoli, dove i prati si trasformano in pietraie alla base delle pareti verticali della faccia Sud-Ovest del Mongioie. Infatti per raggiungerla impieghiamo una buona ora e mezza. Arriviamo tardi e riusciamo a fare solo un paio di tiri, comunque di soddisfazione. Quello che conta è la prova di carattere per averci creduto e il piacere di un po’ di arrampicata dal sapore alpino.

Torniamo a pian Rosso che ormai è sera: secondo e più ricco pasto condiviso. Sarebbe stupido elencare qui il menù della serata, meglio lasciare all’immaginazione di chi non c’era e al ricordo di chi c’era, basti dire che ognuno ha dato il meglio di sé (e poi il cibo che ti sei portato sulle spalle ha sempre un sapore migliore). Menzione d’onore per l’originalità più che per il gusto all’improbabile cima genovese di pesce. Liquorino al rifugio e poi a dormire in tenda.

Notte tormentata: poco dopo esserci infilati nei sacchi a pelo si scatena una bufera di vento. Sembra di dormire al campo base del cerro Torre. A turno usciamo dalle tende sconvolte dal vento per aggiungere picchetti e rinforzare quelli che già ci sono. Dormiamo quasi niente e al mattino quando suonano le sveglie il vento soffia ancora imperterrito.

Secondo giorno. Il nostro obiettivo è la vetta del Mongioie. Ci troviamo a far colazione al riparo del rifugio: abbiamo tutti gli occhi gonfi dal sonno e nonostante il tempo sia bellissimo il vento non dà tregua. Partiamo o non partiamo? Partiamo. E facciamo bene: dopo 10 minuti di cammino il vento si placa e resta una giornata splendida. Dal rifugio prendiamo il sentiero che sale sulla destra verso pian dell’Olio (2083 metri s.l.m.), sentiero facile sempre evidente prima nel bosco poi tra i prati; da pian dell’Olio il sentiero prosegue sempre facile e in lievissima pendenza per un vallone fino a al Bocchin dell’Aseo (2296 metri s.l.m.) cioè il colle a est del Mongioie. Alle nostre spalle la via di salita, di fronte il panorama si apre sulle valli monregalesi, il sentiero svolta a sinistra per affrontare il ripido pendio che porta alla vetta: è il momento di una pausa per mettere qualcosa nello stomaco. Ricco spuntino con avanzi della cena.

L’ultimo tratto dal Bocchin dell’Aseo in poi è un ripido sentiero che si inerpica per un pendio di erba e detriti, sempre ben segnato anche se non sempre evidentissimo e comunque piuttosto faticoso, che porta fino alla cresta nord, da qui il sentiero segue la cresta fino alla croce di vetta (2630 metri s.l.m.) a circa 3 ore dal rifugio. Foto di vetta e altro spuntino. Siamo felici nonostante la stanchezza aggravata dalla notte insonne; il panorama è bellissimo, solo un po’ di foschia ci impedisce di vedere il mare verso Sud, a Nord il Monviso sbuca da un gruppo di nuvole. La bellezza di una salita non si calcola in metri, l’emozione non aumenta solo con le difficoltà tecniche; oggi il valore aggiunto della salita è stata la convivialità, il passo comune a cui siamo riusciti a uniformarci (che è una cosa più difficile di quanto si possa pensare), il cibo condiviso, l’aiutarsi nelle piccole difficoltà. Essere compagn* vuol dire anche condividere la fatica.

È tempo di andare: per fare un anello scendiamo dall’altro sentiero, che dalla vetta scende dalla cresta Sud fino alla spalla e da lì giù per pendio erboso abbastanza dolcemente fino alla sommità della gola del Bocchin delle Scaglie (2360 metri s.l.m.), il nome deriva dal fatto che da qua in poi, per circa 200 metri di dislivello, la via è costituita da un pendio intorno ai 30° di fini sfasciumi di queste rocce calcaree che formano appunto delle scaglie. Scendere in ogni caso è abbastanza facile e anche divertente, altra storia sarebbe salirci.

Dopo il tratto di sfasciumi ritroviamo il facile sentiero che attraversa i pascoli. Lo avevamo fatto anche il giorno prima per raggiungere la falesia e in un’oretta siamo al rifugio. Abbiamo fatto un anello  perfetto con partenza e arrivo al rifugio passando per ambenti molto diversi, una bella gita escursionistica ma a tratti non facile e in ogni caso molto soddisfacente. Due note tecniche: nella via di salita non ci sono punti per rifornirsi d’acqua ed è sconsigliabile fare l’anello nel senso opposto vista la difficoltà di salire le scaglie piuttosto che di scenderle.

Al rifugio birrette e terzo pasto condiviso (se escludiamo gli spuntini della salita). Diamo fondo alle scorte di cibo. Smontiamo le tende carichiamo gli zaini e ripercorriamo il breve sentiero fino alle macchine. È stata una giornata memorabile, anzi due giornate memorabili; di condivisione, di piccole difficoltà e di grandi soddisfazioni.

E al ritorno, incredibilmente, neanche un minuto di coda sulla A10.

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Cresta Segantini

Avremmo voluto raccontarvi una bella gita, una cresta meravigliosa, estetica e lunghissima. Una cordata di amici che, collaborando con le altre cordate trovate sulla via, arriva per la prima volta in cima ad una montagna importante come la Grignetta. Una cordata partita da Genova nella mattinata del sabato e arrivata, dopo una splendida passeggiata al rifugio Rosalba. Ma è qui che interromperemo il racconto della gita perché ci sembra più importante parlare di quello che sta accadendo a questo rifugio.

Il Rosalba sorge sulla cresta della Grigna meridionale e la sua storia inizia già nei primi anni del XX secolo, inaugurato nel 1906 è intitolato alla figlia di Davide Valsecchi, presidente del CAI Milano e primo salitore (insieme a M. Tedeschi e alla guida B. Sertroli) della cresta Segantini.  È quindi un luogo storico non solo per gli amanti della montagna ma anche per il suo ruolo nella Resistenza: riparo per le brigate partigiane, condivise il destino di molti luoghi simili del lecchese e fu incendiato nella notte tra il 16 e il 17 Ottobre 1944 dalle squadracce nazi-fasciste decise a eliminare qualsiasi rifugio per i ribelli. Questi posti, questi sentieri, trasudano Storia.

Il rifugio Rosalba, gestito da più di 20 anni da Mauro Cariboni, è oggi nuovamente ad un punto di svolta. È dello scorso anno la notizia che la concessione non sarebbe più stata rinnovata a Mauro. Il CAI Milano, guidato da un nuovo presidente, pare ora interessato ad una gestione più “imprenditoriale” dei rifugi. Una concezione che vorrebbe gli avamposti del sodalizio più profittevoli, accattivanti e più attrattivi non solo per chi ha bisogno di un punto di appoggio nelle proprie peregrinazioni sulla montagna ma anche per chi vuole godersi una serata di musica elettronica, guardare un film in quota e partecipare ad eventi, culturali e non. Tale “visione” va ad inscriversi nel solco della recente tendenza che vede tra l’altro le spartane cucine dei rifugi infiltrate da raffinati percorsi enogastronomici e menù da chef stellati.

Non siamo in grado e non vogliamo di certo entrare nella specifica vicenda parlando di costi di gestione, tempistiche nella presentazione dei progetti e della “promozione sul circuito internazionale”. Come non approfondiremo in questa pagina la pure interessante questione dell’accentramento e dell’accaparramento delle concessioni in zona Grigne. Sappiamo però e lo diciamo con forza e convinzione, che a noi il Rosalba (e non solo) piace così, senza palle stroboscopiche, maxiproiettori e piatti ricercati. Abbiamo imparato ad apprezzare il rifugista che ti accoglie come amante della montagna, non come un cliente. Che consiglia la salita del giorno dopo e che a cena condivide un ricordo o ti da ancora un suggerimento.

Quando scesi dalle montagne ritorniamo in città capita spesso che più che la gita o la via che percorriamo, ci rimanga impresso il ricordo di un incontro in rifugio, una sveglia che suona ad orari improbabili o anche solo gli aneddoti del rifugista. Quello della montagna è un tempo e un luogo che amiamo perché ci riporta ad una dimensione di maggiore condivisione nella quale per qualche ora o qualche giorno possiamo perderci. Nulla di più lontano dall’idea di ricettività che alcuni vorrebbero affermare, tendente più all’omologazione ai canoni alberghieri e dei locali alla moda che alle effettive necessità di chi attraversa le terre alte.

Abbiamo conosciuto Mauro Cariboni solo da poco ma è come se ci conoscessimo da sempre. La passione per il suo lavoro e l’amore per le sue montagne sono le stesse che abbiamo incontrato spesso nelle Marittime e in tutti quei rifugi dove vieni accolto a prescindere da quanto ti fermerai e quanto spenderai. Sono gli stessi rifugi in cui il custode ti segue con il binocolo e si preoccupa quando fai tardi. È di questo che abbiamo bisogno, non di feste, non di nouvelle cuisine.

 

 

 

 

 

 

 

Piccolissima bibliografia:

https://www.facebook.com/groups/1119561404807681/?fref=ts

http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/16_dicembre_22/guerra-rifugi-cai-milano-revoca-contratto-gestori-9ab80760-c817-11e6-b72f-beb391d55ecd.shtml

http://gognablog.com/rifugista-imprenditore-volontario/

http://www.radiopopolare.it/podcast/onde-road-di-dom-1903/

https://www.rifugi.lombardia.it/lecco/mandello-del-lario/rifugio-rosalba

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Soggettiva di una corsa

Inspiro  espiro, dentro fuori, narici dilatate e bocca aperta.

Appoggio l’ avampiede , attento a contrastare la mia naturale (sbagliata) posizione di impatto col terreno, troppo sull’esterno. Il polpaccio spinge, il quadricipite si contrae alzando il ginocchio.

Cerco di mantenere il busto e le spalle in condizione corretta.

Gli occhi sono incollati al terreno, cerco di prevedere gli ostacoli sul sentiero: pietre, radici, buche, è meglio non cadere, scelgo di mettere il piede nel posto migliore.

Appena posso alzo lo sguardo, studiando il proseguo della strada da percorrere o godendomi il paesaggio intorno : selvatico, luminoso e silenzioso. E’ bellissimo essere soli:  “Le mattinate infrasettimanali in Appennino sono da turnisti, disoccupati o pensionati” esclama il mio socio dietro di me quasi leggendomi nel pensiero;  “su questo stesso sentiero nel weekend incontri un sacco di gente”.

La metà del nostro anello (che oggi coincide con la vetta) è ancora distante e il sentiero impenna decisamente: è il momento di cambiare marcia, non riesco più a correre, allaccio le mani dietro la schiena e cammino: mi concentro sui battiti: cerco di non farli alzare troppo e di gestire il mio fiatone. Lunghi minuti di silenzio, solo il rumore del mio respiro e delle scarpe sul sentiero o sulla roccia e tutto intorno il fruscio del vento e il cinguettio degli uccellini. Due pernici spaventate salgono in volo a pochi metri da noi.

Finito il giro, in prossimità della macchina mi sento svuotato,asciutto, stanchissimo e felice.

Correre in montagna è una forma di meditazione. Il cervello ti entra in loop strano e questa sensazione può dare dipendenza.

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