Il racconto della due giorni del CAZ al Mongioie comincia con una coda, una lunga estenuante coda sulla solita A10 riviera ligure. È metà luglio e probabilmente il weekend più torrido del 2017: ficcarsi su quell’autostrada alle 10 del mattino vuol dire un po’ andarsela a cercare… ma tant’è, affrontiamo gli eventi con stoica abnegazione.
Poco alla volta il traffico si scoglie e dopo Savona possiamo lanciarci in una cavalcata priva di ostacoli fino alla valle Tanaro. Prima dell’una siamo a Viozene: alla fine la coda non ci ha fatto perdere più di un’ora ma sono sembrate dieci. Non vediamo l’ora di allontanarci da tutto questo.
Lasciamo le macchine poco oltre la piazza della borgata e riempiamo gli zaini. Gli anziani del paese seduti fuori dal bar ci guardano incuriositi mentre ci carichiamo all’inverosimile di materiale da arrampicata, vestiti, tende e cibarie, tante cibarie: abbiamo deciso di campeggiare al rifugio Mongioie, condividendo tra tutt* il cibo di ognun* .
Così caricati affrontiamo il facile sentiero che dalla borgata di Viozene porta a Pian Rosso, dove si trova il rifugio Mongioie, a 1555 metri s.l.m. 40 minuti di passeggiata in cui le uniche difficoltà sono rappresentate dal peso importante e dal caldo africano. Arrivati al rifugio ci rilassiamo un po’: il posto è speciale. Pian Rosso si trova al limitare del bosco dove la valle si apre in uno smisurato ventaglio di pascoli, intorno, a incorniciare questo anfiteatro, una serie di bastionate rocciose vertiginose; la più imponente di queste bastionate, proprio in linea retta sopra al rifugio è il Mongioie.
La mattinata moderatamente stressante e la sudata della salita impongono ristoro: primo pasto condiviso. È subito evidente che in questi due giorni, tra tutti i significati del termine compagn*, il più pregnante sarà quello più intimamente etimologico: “chi condivide il pane”.
Al pomeriggio ci si divide tra chi resta a Pian Rosso a rilassarsi e chi vuole andare ad arrampicare. Sappiamo che intorno al rifugio ci sono molte vie tendenzialmente dure: guardando le pareti calcaree del Mongioie e dei suoi fratelli, striate di nero e a tratti talmente lisce da sembrare marmo, non stentiamo a crederlo. Andiamo al rifugio a informarci su posti per arrampicare alla nostra portata. Consultando la guida la scelta ricade sulla falesia delle piramidi: monotiri dati a 20 minuti dal rifugio: sarà… a vederla in lontananza la falesia non sembra così vicina, si intravede al limitare dei pascoli, dove i prati si trasformano in pietraie alla base delle pareti verticali della faccia Sud-Ovest del Mongioie. Infatti per raggiungerla impieghiamo una buona ora e mezza. Arriviamo tardi e riusciamo a fare solo un paio di tiri, comunque di soddisfazione. Quello che conta è la prova di carattere per averci creduto e il piacere di un po’ di arrampicata dal sapore alpino.
Torniamo a pian Rosso che ormai è sera: secondo e più ricco pasto condiviso. Sarebbe stupido elencare qui il menù della serata, meglio lasciare all’immaginazione di chi non c’era e al ricordo di chi c’era, basti dire che ognuno ha dato il meglio di sé (e poi il cibo che ti sei portato sulle spalle ha sempre un sapore migliore). Menzione d’onore per l’originalità più che per il gusto all’improbabile cima genovese di pesce. Liquorino al rifugio e poi a dormire in tenda.
Notte tormentata: poco dopo esserci infilati nei sacchi a pelo si scatena una bufera di vento. Sembra di dormire al campo base del cerro Torre. A turno usciamo dalle tende sconvolte dal vento per aggiungere picchetti e rinforzare quelli che già ci sono. Dormiamo quasi niente e al mattino quando suonano le sveglie il vento soffia ancora imperterrito.
Secondo giorno. Il nostro obiettivo è la vetta del Mongioie. Ci troviamo a far colazione al riparo del rifugio: abbiamo tutti gli occhi gonfi dal sonno e nonostante il tempo sia bellissimo il vento non dà tregua. Partiamo o non partiamo? Partiamo. E facciamo bene: dopo 10 minuti di cammino il vento si placa e resta una giornata splendida. Dal rifugio prendiamo il sentiero che sale sulla destra verso pian dell’Olio (2083 metri s.l.m.), sentiero facile sempre evidente prima nel bosco poi tra i prati; da pian dell’Olio il sentiero prosegue sempre facile e in lievissima pendenza per un vallone fino a al Bocchin dell’Aseo (2296 metri s.l.m.) cioè il colle a est del Mongioie. Alle nostre spalle la via di salita, di fronte il panorama si apre sulle valli monregalesi, il sentiero svolta a sinistra per affrontare il ripido pendio che porta alla vetta: è il momento di una pausa per mettere qualcosa nello stomaco. Ricco spuntino con avanzi della cena.
L’ultimo tratto dal Bocchin dell’Aseo in poi è un ripido sentiero che si inerpica per un pendio di erba e detriti, sempre ben segnato anche se non sempre evidentissimo e comunque piuttosto faticoso, che porta fino alla cresta nord, da qui il sentiero segue la cresta fino alla croce di vetta (2630 metri s.l.m.) a circa 3 ore dal rifugio. Foto di vetta e altro spuntino. Siamo felici nonostante la stanchezza aggravata dalla notte insonne; il panorama è bellissimo, solo un po’ di foschia ci impedisce di vedere il mare verso Sud, a Nord il Monviso sbuca da un gruppo di nuvole. La bellezza di una salita non si calcola in metri, l’emozione non aumenta solo con le difficoltà tecniche; oggi il valore aggiunto della salita è stata la convivialità, il passo comune a cui siamo riusciti a uniformarci (che è una cosa più difficile di quanto si possa pensare), il cibo condiviso, l’aiutarsi nelle piccole difficoltà. Essere compagn* vuol dire anche condividere la fatica.
È tempo di andare: per fare un anello scendiamo dall’altro sentiero, che dalla vetta scende dalla cresta Sud fino alla spalla e da lì giù per pendio erboso abbastanza dolcemente fino alla sommità della gola del Bocchin delle Scaglie (2360 metri s.l.m.), il nome deriva dal fatto che da qua in poi, per circa 200 metri di dislivello, la via è costituita da un pendio intorno ai 30° di fini sfasciumi di queste rocce calcaree che formano appunto delle scaglie. Scendere in ogni caso è abbastanza facile e anche divertente, altra storia sarebbe salirci.
Dopo il tratto di sfasciumi ritroviamo il facile sentiero che attraversa i pascoli. Lo avevamo fatto anche il giorno prima per raggiungere la falesia e in un’oretta siamo al rifugio. Abbiamo fatto un anello perfetto con partenza e arrivo al rifugio passando per ambenti molto diversi, una bella gita escursionistica ma a tratti non facile e in ogni caso molto soddisfacente. Due note tecniche: nella via di salita non ci sono punti per rifornirsi d’acqua ed è sconsigliabile fare l’anello nel senso opposto vista la difficoltà di salire le scaglie piuttosto che di scenderle.
Al rifugio birrette e terzo pasto condiviso (se escludiamo gli spuntini della salita). Diamo fondo alle scorte di cibo. Smontiamo le tende carichiamo gli zaini e ripercorriamo il breve sentiero fino alle macchine. È stata una giornata memorabile, anzi due giornate memorabili; di condivisione, di piccole difficoltà e di grandi soddisfazioni.
E al ritorno, incredibilmente, neanche un minuto di coda sulla A10.