Canali dei Genovesi e dei Torinesi al Marguareis

[me-ra-vì-glia]
Sentimento vivo e improvviso di ammirazione, di sorpresa, che si prova nel vedere, udire, conoscere cosa che sia o appaia nuova, straordinaria, strana o comunque inaspettata.

Volevo, come sempre, iniziare dalle circostanze che ci hanno portato a scegliere i canali dei Genovesi e dei Torinesi come meta per il 24 e il 25 aprile, ma mi pareva tutto un poco scarno e sterile rispetto al cuore della gita in sé.
Perciò partiamo dalla definizione di meraviglia, quella che mi ha accompagnata dal momento in cui siamo scesi dall’auto a Pian delle Gorre fino alla vetta del Marguareis.
Fin dal momento in cui abbiamo intrapreso il sentiero verso il rifugio Garelli, la sopracitata, si è fatta sentire. Il sottobosco e la vegetazione tutta erano nel pieno dell’esplosione di colori e odori primaverili.
Siamo un bel gruppo, in 7, 7 e mezzo per la precisione, e in 2 ore e mezza arriviamo al rifugio. In quell’arco temporale e in quei 900 metri attraversiamo le stagioni. Dal tappeto di fiori al diradarsi degli alberi, dove incontriamo la prima neve, fino a giungere a Pian del Lupo, dove il paesaggio è avvolto nelle nuvole, completamente indecifrabile.
Sono nuvole che si muovono rapide e con sorpresa ogni tanto lasciano spazio all’occhio di guardare un po’ più in là del perimetro del rifugio. Finalmente individuo il canale dei genovesi!
Siamo uno strano gruppo, anche tra i più esperti c’è chi non ha mai percorso i genovesi.
Il rifugista Guido è un rifugista di altri tempi, come piace a noi. E’ un amore, ci accoglie, ci racconta, ci spiega, è uno attento e nel frattempo con il binocolo controlla il rientro di due ragazze tra la nebbia.
Ci raccconta della presenza del lupo, scomparso da quasi un secolo e ritornato al suo habitat a metà degli anni ’90, ad onorare il nome del luogo, ci racconta di quando si avvicina al rifugio e di come la sua cagnona gli abbaia.
Scruto tra le nuvole nella speranza di vederlo, ma niente da fare, siamo rumorosi e abbiamo aumentato il numero di cani in zona a due portando Stracci. Mi annoto mentalmente di tornarci, per il lupo.
Ceniamo e andiamo a letto presto, la sveglia è alle 4 e se il tempo non migliorerà non sarà possibile risalire i canali.
Finalmente è arrivata l’ora di partire e il cielo ci ha sorpresi con una giornata tersa, le nuvole a valle, incastrate basse tra i versanti che chiudono la valle Pesio. L’aria è fresca e la neve dura.
Ci incamminiamo verso l’attacco dei canali e mentre procediamo seguendo le luci delle frontali, i primissimi raggi di sole in lontananza iniziano a delineare le forme della montagna. Si è fatto quell’orario in cui la roccia si fa d’oro e i colori in lontananza si fanno caldissimi. Spengo la luce fredda della frontale e mi godo il contrasto tra calda temperatura colore e la fredda temperatura termica.
T. e D. si staccano insieme a Stracci per proseguire verso l’attacco dei Torinesi, i restanti proseguono verso i Genovesi.
Guardando il canale da quella prospettiva e sotto quella luce mi domando per una frazione di secondo se avrò il fiato per arrivare in cima.
Sorprendentemente, di nuovo, un passo dopo l’altro, senza fretta, ma senza sosta, mi rendo conto che, nonostante le 8mila sigarette, il fiato c’è. Trovo il ritmo. Se accelerassi anche solo un poco tutta quella nicotina si farebbe sentire immediatamente e stramazzerei dopo qualche passo. Per la prima volta salgo senza ripetermi come un mantra “sei un’idiota, quando smetterai di fumare?” (cosa che ovviamente mi dico ugualmente, ma con meno senso di frustrazione). Cammino sul mio limite, lo porto un poco più in la e lo faccio mio. E’ una bellissima e sorprendente sensazione.
Il canale si fa più stretto e il sole è ormai visibile, scalda un poco la neve e soprattutto scalda parecchio noi.
Dicono che gli ultimi metri siano un poco più impegnativi, con un saltino di roccia, magari sarà utile fare un mezzo tiro. Ma senza nemmeno accorgercene siamo al colletto dei genovesi. La roccia coperta da neve e le difficoltà svanite sotto il manto bianco.
La vetta del Marguareis è appena più su, sulla sinistra. E’ lì l’appuntamento con quelli saliti dai torinesi. Mica il solito appuntamento in piazza delle Erbe, no, “a dopo, ci vediamo in vetta”. Suona meglio dei soliti appuntamenti!

E qualche minuto dopo arrivano, con Stracci invasata che mi corre incontro, felicissima, ululante, la sua seconda vetta di neve e ghiaccio. Dalla calda Andalusia alle alpi!
Mi concedo una sigaretta, sì, sono buffe le contraddizioni umane.
E’ incredibile come il giorno prima non si vedesse a un palmo dal naso, e invece da lassù è tutto terso, le nubi a valle e in fondo, e di là, sulle altri alpi, quelle non di casa. Un’oasi di bel tempo. Sembrerebbe un regalo, uno di quei doni fatti a caso, mica per il compleanno. Quelli inaspettati.
Ci prepariamo alla discesa, che come per l’andata prevede due percorsi differenti. In due giù dai genovesi con gli sci e gli altri per i torinesi a piedi.
L’unica cordata in discesa è composta da M. e Stracci. Il cane giallo, con tutta la buona volontà del mondo, scivola sulla neve troppo dura e ha bisogno di un capocordata esperto e forte. Ma è questione di superare le prime grosse pendenze e anche il cane giallo viene slegato e scendiamo tutti trotterellanti, a raggiungere gli sciatori, che ci attendono col sorrisone sulla faccia.
Ancora mezzoretta e siamo al rifugio, ma il luogo, non contento per i regali che ci ha già fatto, ci fa incontrare una marmotta, magrissima, sbuca da una chiazza dove la neve è già sciolta, una chiazza di primavera, fischia e ci guarda. Non sarà stato l’incontro con il lupo, ma in mezzo a tutto quell’inverno anche una marmotta è sorprendente!

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